CERRETO SANNITA
La Storia e l'Architettura
CITTA’ DI FONDAZIONE
Cerreto Sannita, l’antica Cominium Ocritum (Cominium Cerritum), è tra le città più importanti dell’intera provincia di Benevento. Celeberrima per l’arte della ceramica, la sua maggiore peculiarità è la struttura urbanistica che non ha eguali al mondo.
Totalmente distrutta dal terremoto del 5 giugno 1688, la città venne totalmente ricostruita tra il 1688 e il 1696 su progetto del regio ingegnere Giovanni Battista Manni e per volontà del conte Marzio Carafa, di suo fratello Marino Carafa e del vescovo Giovanni Battista de Bellis.
La zona scelta per costruire la nuova Cerreto era un vasto e tozzo colle lambito a est e ad ovest dai torrenti Turio e Cappuccini e attraversato da nord a sud dall’antica via Telesina che raccordava Cerreto antica a Telesia.
La peculiarità della città di fondazione è da ricercare soprattutto nelle diverse tipologie abitative realizzate per le diverse componenti sociali: gli isolati a corte per i palazzi dei signori (tra i più rilevanti Palazzo Carizza, Palazzo Ciaburro, Palazzo Ungaro, Palazzo Magnati, Palazzo del Visconte, Palazzo Giordani, Palazzo Giuseppe Ciaburro); gli isolati a spina, lunghi e stretti, per gli artigiani, gli operai ed il ceto meno abbiente; gli isolati a blocco, per ospitare gli edifici di culto e del clero.
GLI EDIFICI DEL CLERO
All’interno della nuova città un ruolo di assoluta importanza è determinato dagli edifici di culto, che fanno da fulcro visivo delle varie piazze e delle strade.
L’itinerario ecclesiastico parte da Piazza Luigi Sodo, ove sul lato sinistro fa bella mostra di sé il complesso di edifici costituito dalla Cattedrale affiancata da due campanili con cupolini a embrici maiolicati (l’edificio ospita all’interno opere settecentesche di Foschini, D’Amalfi, Fischetti, Gori), dal Palazzo Vescovile (splendida è la rosta lignea) e dal Seminario.
Nella piazza si erge un altro edificio di culto molto pregevole, la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli contenente opere di Onofrio Palumbo e Silvestro Jacobelli (la splendida scultura lignea rappresentante la Madonna col Bambino).
Proseguendo lungo la rettilinea Via San Giuseppe d’Andrea, lungo la sinistra si ammira la splendida Chiesa di Sant’Antonio da Padova, contenente varie opere di una certa rilevanza, tra cui un pavimento maiolicato di Nicolò Russo, una Vergine Immacolata di Silvestro Jacobelli, una scultura lignea recuperata dalle macerie del terremoto (Santa Caritista) e una pregevole tela del Forlì rappresentante la Madonna del Pianto.
Procedendo oltre, si raggiunge l’ampia Piazza San Martino, caratterizzata da importanti edifici (ovvero la Taverna Ducale, le Carceri feudali, il Teatro del Genio) e adornata dalla splendida Fontana dei Delfini, risultante dal riutilizzo di pezzi provenienti da una fontana un tempo sita in Piazza Mercato a Napoli.
La Piazza San Martino è chiusa lungo uno dei lati corti dalla scenografica Collegiata, introdotta dalla bella scala a doppia rampa: la chiesa ospita, tra gli altri, un bellissimo organo barocco, pavimenti maiolicati del Russo, tele di D’Onofrio, Sarnelli, De Falco, la pala della Madonna deel Soccorso, un tempo ubicata nell’omonima chiesa.
Continuando lungo la Via Chiaia che segue la direttrice di Via D’Andrea, strada molto importante lungo la quale si ammirano vari altri edifici pubblici, tra cui il Monte di Pietà, si raggiunge l’interessante Chiesa di San Gennaro, opera del maestro scalpellino Antonio di Lella, caratterizzata da una particolare pianta centrale, da tele di Luigi Cacciapuoti e da stucchi di Giacomo Caldarisi. All’interno è presente la sezione d’arte sacra del Museo Civico, contenente reliquiari, sculture, paramenti sacri, tele.
Dopo la piccola Chiesa di San Giuseppe, si raggiunge la Chiesa di San Rocco, che si segnala per la scultura lignea di Silvestro Jacobelli rappresentante la Madonna della Provvidenza e l’ampia cripta utilizzata per le sepolture.
Su Piazza Roma prospetta l’ex-Monastero delle Clarisse, la cui chiesa è decorata da marmi policromi, ceramiche cerretesi, intagli lignei e tele.
Fuori dal centro storico si trovano altre due importantissime chiese, ovvero il Santuario di Santa Maria delle Grazie, che merita particolare attenzione per i dipinti del Celebrano, la splendida tela d’altare con splendido intaglio e l’elegante scultura settecentesca della Madonna delle Grazie, e la Chiesa della Madonna della Libera, eretta sopra il Tempio di Flora, di cui rimangono diversi blocchi poligonali e l’antico podio del tempio.
LA CERAMICA CERRETESE
Le faenzere cerretesi e laurentine hanno iniziato a produrre manufatti di una certa qualità già a partire dal XVII secolo, con l’operato del ceramista Nicolò Russo, alla cui bottega furono attivi artisti come Domenico Marchitto, Santi Festa, Melchiorre Cerri, Nicola e Crescenzo Petruccio, Nicola Marchitto, Salvatore Paduano, Giuseppe Paolino.
A questi vanno aggiunti i Giustiniani (provenienti da Napoli, tra cui Antonio e Nicola), e poi i Gaudioso, i Di Gemma, i Buonanotte, gli Scarano, i Petrucci. La produzione ceramica comprende piatti da pompa, vasi da farmacia, ac-quasantiere, zuppiere, lucerne, riggiole con decoro a rosa dei venti e a festone.
Prevalgono soggetti religiosi, naturalistici e paesaggistici. Le zuppiere sono decorate da frutti e fiori a rilievo. Le acquasantiere riportano elementi plastici architettonici, floreali e sacri.
Nel Seicento prevaleva lo smalto color avorio, con decorazioni in stile compendiario oppure in stile faunistico-floreale o paesaggistico. Nel Settecento lo smalto era “bianco grigio bluastro”, le decorazioni risentivano del gusto barocco ed erano prevalentemente floreali e paesaggistiche.
Nell’Ottocento lo smalto era leggermente giallino e le decorazioni prevalenti erano quelle geometriche o in stile compendiario. I colori prevalenti erano il giallo, il verde ramina, il blu cerreto e l’arancione.
La storia della ceramica cerretese-laurentina è ben illustrata all’interno dell’interessante Museo civico e della ceramica cerretese, suddiviso in due sezioni, ceramica antica e ceramica contemporanea (quest’ultima allestita nel Chiostro di Sant’Antonio).
LA MANIFATTURA DEI PANNILANA
L’economia di Cerreto Sannita un tempo girava attorno alla manifattura dei pannilana, il cui perno principale era la Tintoria Ducale, che oggi rappresenta unodei maggiori esempi di archeologia industriale risalente al XVIII secolo.
La struttura ha una pianta rettangolare con un ampio cortile centrale. Intorno al cortile sorgono diversi ambienti, otto dei quali hanno una copertura a cupola con un foro centrare per far evaporare i vapori delle tinture.
Nel pavimento di queste otto sale sono presenti delle vasche circolari a forma di cono rovesciato dove venivano tinti i panni lana. Lungo il perimetro della struttura corre un cunicolo fognario che portava gli scarichi fluidi della lavorazione nel vicino torrente Turio.
CERRETO VECCHIA
Cerreto Vecchia è ciò che rimane della città precedente all’edificazione post-terremoto.
In particolare si possono ancora ammirare i ruderi dell’antico torrione.
L’antica città era cinta da possenti mura a loro volta protette da un profondo fossato. Lungo le mura si aprivano quattro porte: Porta Gaudiana, Porta dell’Ulmo, Porta di Suso e Porta di Sant’Antonio.